Questo piccolo cortometraggio è stato realizzato a seguito della prima versione di Voci_Scosse del 2020. L'obiettivo del video è quello di mostrare, tramite le voci, una raccolta di esperienze e visioni estremamente soggettive. Il suono ha la priorità su ogni altro elemento che compone il prodotto audiovisivo: le immagini del video sono fotogrammi astratti e sfumati, che mirano ad accompagnare il timbro vocale per far risaltare il significato delle sensazioni degli intervistati. Si è deciso di mettere da parte la figurazione per non far perdere di vista le parole e non influenzare gli spettatori con immagini ben connotate.

Si ringraziano Giovan Giuseppe, Maria Grazia, Maria Teresa e Marika per la partecipazione.

Voci_scosse

La dimensione dello spazio, specialmente quello dell’intimità domestica, è uno dei punti in cui convergono con maggior violenza i traumi del post sisma. La relazione con la casa rappresenta, per la stragrande maggioranza di persone terremotate, il simbolo della devastazione e della perdita subìta a seguito del terremoto. La perdita della propria dimora o le lacerazioni avvenute in essa sono, di rimando, perdite e lacerazioni che avvengono in noi stessi. Senza una casa o senza l’idea che abbiamo di essa, esistere ed essere nel mondo risulta più complicato: si subisce una vera e propria perdita esistenziale. La dimora, con gli spazi e gli oggetti che la popolano, comprende in sé i più potenti pensieri, sogni e ricordi dell’essere umano, diventando rappresentante del modo di vivere di ognuno.

Il progetto Voci_Scosse parte proprio da questi aspetti: tramite domande legate alla pratica dell’abitare, si tenta di ricostruire l’universo sentimentale di una persona che ha preso il sisma. La mediazione con la dimora, che sia essa nuova o vecchia, con o senza danni, può essere un punto di ingresso per arrivare in maniera meno invasiva ai sentimenti che ci parlano del trauma legato al sisma. Parlare di come sono cambiati i nostri modi di abitare e vivere la casa ci rimanda inevitabilmente a ciò che è stato perso, lasciando fluire i ricordi di emozioni e sensazioni che si fondono e si confondono tra passato e presente. Parlando della connessione con la propria abitazione si può entrare in con-tatto con queste memorie traumatiche, con la gentilezza e la sensibilità di cui necessitano.

A ogni persona intervistata vengono poste domande che potremmo definire poetiche: sono quesiti che riguardano l’abitare, poste in una forma più inusuale. La particolarità di queste domande risiede nella loro stravaganza, ai confini con la poesia, che è il luogo dell'immaginazione per antonomasia. Queste domande cercano di svincolarsi da quella che classifichiamo come realtà tangibile per farci capire che anche le emozioni sono concrete.

Il progetto

Voci_Scosse è un laboratorio e un'antologia di interviste poetiche relativo al modo di abitare la nuova casa da parte di chi l'ha persa a seguito del sisma del 21 agosto 2017 di Ischia (NA).
Voci_Scosse è studio, relazione, poesia, consapevolezza e possibilità di trovare nuovi punti di vista e nuove metodologie per l'abitare.
La maggior parte di persone che ha preso parte all'intervista ha perso la propria casa al seguito del sisma e ha dovuto trovare una nuova sistemazione. Tra gli intervistati ci sono anche persone che non hanno perso la propria casa o persone che hanno dovuto lasciare altri spazi della propria quotidianità: dimore di parenti, luoghi di lavoro e altri spazi intimi.

Ci troviamo di fronte a persone che stanno avviando la costruzione di una nuova normalità che è composta dal trauma e convive con esso. Le vite degli intervistati si sono dovute evolvere, integrando in loro tutta la negatività e la positività che il sisma ha generato. Porsi delle domande è uno dei migliori metodi per scavare dentro sé e provare a comprendersi ed è questo il punto di partenza del laboratorio: interrogare per interrogarsi. 
Interrogarsi per conoscersi e vivere più consapevolmente, evitando di essere spettatori della propria esistenza.

Di seguito si presentano testi e spezzoni di audio che riportano le parole di chi si è messo in gioco, con coraggio, rispondendo con sincerità a domande molto intime e complesse.
 

leggere e ascoltare le voci_Scosse

Le interviste saranno proposte in due modalità: nella prima ad una singola domanda saranno affiancate le risposte di ogni partecipante, per sottolineare le differenze e le analogie di queste.
Nella seconda modalità si potranno leggere le interviste complete di ogni singola persona: puoi trovare questa sezione nei pulsanti a fondo pagina.

1. Durante la quarantena mi sono trovata, in prima persona, a osservare le pareti bianche della mia casa, scoprendoci cose che non avevo mai notato prima.
Erano cose banali, che avevo sempre dato per scontato. È successo anche a te?

«Assolutamente sì. Questa casa in cui sono adesso la inizio a sentire un po’vicino all'idea di casa, anche se non è casa come la intendevo fino al 21 agosto 2017. È come se mi inizio a sentire di nuovo in un posto un po’ sicuro, anche se da allora la sicurezza l’ho un po’ persa. Però mi fa sentire serena tornare in questa casa e mi sono resa conto che comunque mi trasmette serenità e sto bene: dopo tanto tempo inizio a stare bene.» (Danila, 35 anni)

«In realtà no, perché non la sento mia comunque la sento una cosa precaria. È una casa, ci vivo dentro, però non è che la vivo a pieno. Durante il lockdown sicuramente sono stata costretta dentro casa, però lavorando in uno studio di consulenza del lavoro, abbiamo comunque lavorato e non mi sono posta più di tanto il problema. A casa mia dove abitavo prima del terremoto, avevo una camera mia per cui mi chiudevo nella mia stanza e avevo la mia privacy. Durante il lockdown qui si è trasferita a mia sorella con il fidanzato e gli ho ceduto la mia stanza, per cui anche lavorare è stato più complicato. Se fossi stata a casa mia sarei stata sicuramente più a mio agio, però la casa non mi appartiene, per cui non noto niente, cioè noto che è una casa. Ci vivo, però più di questo non c'è niente che mi entusiasmi.» (Giuliana, 30 anni)

«All'inizio è stata dura, perché ha veramente stravolta la nostra vita, la nostra quotidianità. poi però, cercando di andare avanti, abbiamo cercato con tutta la famiglia di guardare il lato positivo, quindi avere una casa, avere un tetto, anche se non nostro, che però potesse accoglierci. Abitando in una posizione centrale siamo stati fortunati: comodamente si poteva scendere, fare una passeggiata e avere i servizi primari sotto casa. Questo è stato comodo, però il pensiero sta sempre nel ritornare nella propria casa.» (Lucia, 26 anni) 

«Niente in particolare, sto cercando di sfruttare l'unico spazio aperto che c'è nella casa attuale che è il terrazzo. Apprezzo questo spazio perché mi fa apprezzare la casa che invece non mi piace troppo.» (Stefania, 43 anni)

«Io ho provato una sensazione strana, come se non riuscissi mai a sentirmi ferma. Anche se stavo ferma in una casa mi sentivo come se fossi sempre in movimento. Ci ho messo almeno due o tre anni per sentirmi ferma in un posto: questo posto è la casa in affitto. Anche in questa non è che io ci stia continuamente: per l'estate dobbiamo lasciarla perché vengono i proprietari in vacanza, quindi per giugno ce ne andiamo e ritorniamo a settembre. È un trasloco continuo, però paradossalmente mi sento più ferma a casa lì che dalla nonna. Prima era veramente un delirio, non mi sono veramente mai sentita ferma. È stata una sensazione bruttissima. Era come non sentirsi ancorati a qualcosa.» (Martina, 24 anni)

«Si. Le pareti bianche sono state la mia più grande fonte di immaginazione e ispirazione in quei primi giorni. Ero così infastidita dallo stare in quella casa che ho cercato delle modalità per sopravvivere bene. Ho scoperto che c’erano cose mai viste e a loro modo belle, un po’ovunque. È stata una situazione che mi ha permesso di vivere leggermente meglio la quarantena ma soprattutto di rivalutare lo spazio in cui vivevo. Prima di allora non lo avevo mai voluto osservare.» (Elena, 25 anni)

(Mariagrazia, 51 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Marika, 21 anni)
(Giovan Giuseppe, 61 anni)

(Antonio, 68 anni)


2. Qual è la tua relazione con lo spazio della tua casa?

«La casa è nuova e comoda: dal punto di vista strutturale è molto funzionale. Dove vivevo prima avevo degli spazi esterni a disposizione mentre adesso sono in un condominio. Fortunatamente è di proprietà di gente che non è isolana, quindi vivono questo condominio solo nel periodo estivo, un mese all'anno. Viviamo abbastanza tranquillamente e non abbiamo grossi fastidi, però vivere in un condominio è cosa ben diversa che vivere in una casa come quella che avevo prima, dove io ero proprietario e mi sentivo proprietario anche dell’area circostante, non solo dell'abitazione. La sensazione è quella che non ti senti a casa tua, non la senti tua. Speri e pensi sempre che da un momento all'altro tu possa andare via. C’è una sorta la sensazione di ansia e di attesa continua, nella speranza che la burocrazia vada avanti e sciolga finalmente tutte le riserve e si possa finalmente iniziare. Però c'è sempre un cavillo, la virgola o il punto che ci mancano. Quindi non la senti casa tua, per quanto funzionale e comoda sia. Esternamente avevo a disposizione un giardino, dei terrazzi: avevo molto spazio e ero fortunato, spero di ritornarci quanto prima. La fortuna che abbiamo è di aver trovato questa nuova abitazione vicino casa, così ho la possibilità di potermi muovere e andare a vedere le cose, perché comunque bisogna tenere sotto controllo la situazione. comunque non la senti tua non è ed una sensazione per me che io sono cresciuto e sono vissuto, in una casa che è stata sempre di proprietà ed è una sensazione molto strana. magari per i miei figli che sono giovani è diverso: quando si è giovani ci si adatta molto di più rispetto a quando per tanti anni sei è stata abituato a vivere in un certo modo. non è la stessa e quindi speriamo che le cose insomma vadano a migliorare.» (Marco, 55)

«Praticamente uso quasi tutti gli ambienti anche se maggiormente la mia stanza perché avendola da sola, mi rifugio lì quando devo fare qualcosa. Uso anche il salotto quando condivido i momenti con gli altri familiari.» (Lucia, 26 anni) 

«Mi è abbastanza indifferente. non l'ho personalizzata, quindi l'ho come casa temporanea.» (Stefania, 43 anni)

«Sicuramente rispetto a casa di mia nonna forse questa la sento più casa mia, il che può essere un paradosso perché io comunque a casa di mia nonna ci sono sempre andata, anche prima del terremoto. Però se ti devo dire che ho veramente una relazione, cioè nel senso che mi sento affezionata al posto, ti direi di no. Forse è dovuto al fatto che comunque non ci sto continuamente e per il fatto che per quei tre mesi di tempo mi trasferisco. La sento un po’ più casa, ma comunque so che non è casa mia.» (Martina, 24 anni)

«È una relazione complicata. Inizialmente la ignoravo, non mi importava più di tanto, forse perché il dolore era ancora troppo fresco. Dopo ha iniziato a migliorare e man mano l’ho iniziata a sentire più vicina al concetto di casa. Purtroppo ci sono tante cose che non mi piacciono, perché non sono modificabili. Spesso è come se sentissi il bisogno di aria e privacy, che non ho. La casa è molto piccola e per me chiudere una porta non significa avere il mio spazio. Proprio per questa mancanza di privacy in casa è diventato tutto più condiviso, anche l’intimità che si vorrebbe ma non si ha. Per tanto tempo, e ancora oggi, ho avuto difficoltà a chiudere la porta perché per me significava, in maniera abbastanza esplicita, far sapere al resto della famiglia che volevo stare sola e chiuderli fuori. A volte sembra che tutto debba essere comunicato e chiesto, a volte sento che mi manca la libertà e questo mi genera paranoie e sensi di colpa. Oltre a questi aspetti più negativi, la casa è in un luogo che trovo magnifico. Vedo il mare, che non vedevo da casa mia, e vedo una piccola porzione di montagna che sebbene sia diversa da quella di casa me la ricorda ancora. È come se la montagna mi abbia seguita e mi sti ancora proteggendo. È in un posto abbastanza centrale, anche se molto scomodo perché non è raggiungibile in auto ma solo a piedi.» (Elena, 25 anni)

(Mariagrazia, 51 anni)

(Giovan Giuseppe, 61 anni)

(Nello, 51 anni)

(Annalisa, 43 anni)


3. Senti di vivere abbastanza intensamente la tua casa?

«Sì, a differenza di prima si. Per la casa in cui stavo prima avevo proprio un rifiuto, anche aggiustare la minima cosa mi infastidiva particolarmente, non ci riuscivo proprio. Invece questa casa già la curo di più: se devo comprare una pianta dico: "Che bello, mettiamo la pianta qui!". Sai, sono cose stupide, però questa [casa] me la fa venire la voglia. Sarà che magari è passato anche del tempo, però adesso mi sento molto più serena.» (Danila, 35 anni)

«Non potrò sentirla mai mia, tutto quello che faccio lo faccio sempre nella speranza di andare via. Però avendo gestito la mia casa nella maniera tale che bisognava cercare di migliorarla sempre, so che nessuna casa è completamente perfetta. Alla manutenzione ci tengo e anche se non è la mia casa la faccio sempre e continuamente. Ho fatto diverse modifiche, l'ho migliorata. Siccome i proprietari la vivevano solo per un mese all'anno, in estate, non si prodigavano più di tanto a cercare di fare qualcosa di meglio e invece io gli ho apportato delle modifiche. Io avevo una casa di proprietà che non era un solo appartamento e penso che quello che io pretendevo dall’ affittuario, adesso il proprietario lo pretenderà da me. Questa è una cosa che fa piacere a qualsiasi proprietario e quindi ovviamente penso di comportarmi allo stesso modo in questa casa.» (Marco, 55)

«No, nel senso che la vivo come una cosa precaria e spero di tornare nella mia di casa o comunque di prendere un appartamento da sola, per cui la vedo come un luogo momentaneo. Non ho nessun tipo di rapporto, cioè torno da lavoro, ci dormo perché comunque ho bisogno di un luogo dove dormire, dove fare le mie cose. Però non la vivo come una casa mia. È come se fossi in una sorta di precarietà e ti dici: “Prima o poi si tornerà alla normalità.”, ma la vedo ancora molto lontana.”» (Giuliana, 30 anni)

«Prima il pensiero era di non pensarci [al terremoto] perché comunque, avendo vissuto da sempre nella nostra casa a Casamicciola, il distacco è stato veramente molto duro e brusco. Ti lascia dentro una crepa. Ci siamo trovati all'improvviso tutti fuori, senza neanche capire come. Abbiamo dovuto andare avanti e cercare di farlo nel migliore dei modi. Ora penso di più alla casa in maniera attiva, vorrei proprio che si muovesse qualcosa per poter aggiustarla, perché gli anni passano e questa cosa si accusa. La voglia di ritornare lì c’è e ci sarà per sempre e fin quando non ritorno lì so che ci sarà sempre questo pensiero assiduo della casa. Anche quando ci passo vicino, mi viene un po’ il magone, perché logicamente vorrei stare lì.» (Lucia, 26 anni)

«Attualmente non tantissimo. La maggior parte del mio tempo lo passo fuori casa, perché al mattino per cinque ore lavoro con i bambini, poi torno solo per mangiare e riscendo per andare al servizio civile. Poi torno alle sei del pomeriggio. Non ci sto tanto dentro, però sicuramente l'anno scorso che c'è stato il secondo lockdown l'ho vissuta intensamente. Da quando ho iniziato la magistrale io non ho più casa a Napoli, quindi tutta la didattica a distanza l'ho fatta a casa lì. Tutti quei mesi che siamo stati chiusi dentro li ho fatti qui. Quindi l'anno scorso sicuramente l'ho vissuta più intensamente rispetto ad ora.» (Martina, 24 anni)

«È difficile dirlo. Direi che la vivo in modo profondo, nei momenti belli e in quelli in cui sono abbattuta. Sicuramente a volte ho difficoltà a viverla perché vivo anche a Napoli, come fuori sede. Solitamente sono a Ischia ogni weekend.» (Elena, 25 anni)
(Giovan Giuseppe, 61 anni)

(Antonio, 68 anni)


4. Ti senti custode dello spazio che abiti? Perché?

«Non come a casa mia però si, la inizio a sentire già più una cosa mia.» (Danila, 35 anni)

«Non lo sento uno spazio mio. L'altra è la casa dove sono cresciuta e sono stata obbligata a lasciarla. Non è come quando tu decidi di cambiare casa, vai a convivere o decidi di vivere da sola, quella è una scelta tua. Il fatto che sono stata trascinata via e obbligata non mi piace. Non la vedo come una casa: ci devo stare e ci sto, punto.» (Giuliana, 30 anni)

«No, non tanto. È abbastanza indifferente. Anche se si rompe qualcosa non mi interessa più di tanto. Ovviamente la tengo come casa, nel senso che la pulisco. L'ambiente deve essere un bell'ambiente, quindi non è che la trascuro.» (Stefania, 43 anni)

«Sì, ma più per un senso di responsabilità. Non essendo casa mia cerco di stare più attenta. È più per un senso di responsabilità che curo l'ambiente, perché so che non è il mio fino in fondo.» (Martina, 24 anni)

«Mi sento sentimentalmente custode della casa perché so che è un posto che mi ha cambiato la vita e in cui c’è la mia famiglia. Vorrei fare di più per renderla più bella, perché credo che ogni posto abbia il potenziale per diventare, anche nelle parti più materiali, il tuo posto. Però non è possibile, la casa non è nostra e fare modifiche o cambi a volte appare impossibile.» (Elena, 25 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Antonio, 68 anni)


5. Come rendi tuo lo spazio che ti circonda?

«Lo sto abbellendo, lo sto rendendo più mio. Tutto il mobilio è il nostro, quindi la maggior parte delle cose. Metto quadri che mi piacciono o delle piante. Guardo anche gli angoletti e le cose più stupide magari: tipiche cose che faresti in una casa che è tua. Ad esempio penso: “Qui potrei comprare questa cosa perché sta bene”. Prima invece non non lo facevo. Subito dopo il terremoto c'era proprio la negazione più totale verso tutto quello che poteva essere una casa che non era la mia. Quando inizio a pensare ai traslochi inizio ad andare in tilt. Da dopo il terremoto i cambiamenti mi mettono abbastanza ansia, un po’ di disagio. Li vivo come se mi togliessero molta energia. È bello cambiare, guardi il lato positivo e ti dici: “Sai, magari posso cambiare diverse case”. Però comunque io penso che dentro di me c'è una sorta di malinconia. Per esempio, questa casa mi dispiacerebbe lasciarla perché è come se tu dopo un po’ inizi ad abituarti, a trovare una tua dimensione e poi improvvisamente quella dimensione sparisce un'altra volta. Devi ricominciare di nuovo tutto da capo, in un altro posto e da un'altra parte. Ovviamente lo prendo anche positivamente e mi dico: "Sai, magari un'altra casa, un altro posto... conosco altre persone, i vicini. Cerco di prendere le cose positive però comunque mi rendo conto che mi pesa. Io penso che soprattutto noi giovani dobbiamo cercare di dare forza a chi sta dietro di noi. I nostri genitori magari hanno vissuto per tantissimi anni in una casa dove hanno fatto tantissimi sacrifici e poi si sono trovati veramente a perdere tutto. Di riflesso le abbiamo perse anche noi, perché magari potevamo avere una stabilità che adesso non abbiamo più. Adesso mi sarei potuta trovare una casa dopo che i miei avevano fatto tanti sacrifici anche per me, però purtroppo è andata così. Penso che non ce ne possiamo fare una colpa, quindi in qualche modo dobbiamo farci forza.» (Danila, 35 anni)

«Non ho personalizzato la casa. Mi sono adattata a quello che ci ho trovato, non ho appeso nulla. C'è stata una piccola parentesi in cui c'è stato il mio fidanzato qui e lui ha appeso qualcosa di suo in camera. Io no, non l'ho personalizzata, non c'è nulla. Ho messo delle foto sul comodino, ma erano foto che avevo a casa e non sapendo dove metterle le ho messe sulla scrivania. Però in realtà non è stato voluto, non ho preso niente, non ho personalizzato la camera. In realtà anche nella camera di casa mia non avevo mai messo quadretti, non mi appartiene, mi piace più un ambiente asettico.» (Giuliana, 30 anni)

«Ho portato quasi tutti i mobili che avevo in casa mia e i miei oggetti personali. Non tutto quello che volevo però quelli più importanti per me li sono riuscita a portare, questo rende la casa più mia e sento meno distacco rispetto a quanto ce ne sarebbe stato se non avessi portato i miei mobili e le mie cose personali.» (Lucia, 26 anni) 

«La mancanza di spazi utili ha condizionato il fatto di personalizzarli, perché non ci si può mettere niente di proprio. E poi c'è il fatto della temporaneità: essendo una casa temporanea sembra sempre che la devi lasciare. Certe cose uno le ha dovute fare per forza, perché sono passati quattro anni e quindi alla fine un po’ di personalizzazione c'è dovuta stare per forza. Però diciamo che il fatto della temporaneità incide.» (Stefania, 43 anni)

«Personalmente non è una cosa che faccio più di tanto, tranne che mettere i miei profumi o cose del genere sulla mensola. A livello di decorazioni, tipo fotografie e cose del genere no, non metto nulla del genere. Però mia madre, per esempio, usa le decorazioni di casa nostra [vecchia] e le mette nella casa giù. Quando ce ne andiamo chiaramente vengono tolte, però quelle della casa vecchia sono state spostate in questa casa nuova. Nella mia casa originaria io avevo una stanza molto piccola, da un lato c'era un armadio e dall'altro pure, quindi non è che avessi molto spazio da dedicare alla decorazione, tranne che mettere qualche libro. Anche a Napoli, nella stanza che era solo mia non è che abbia messo chissà quali decorazioni. È sempre per un fatto di praticità, pensando che poi magari dovevo spostare tutto. La logica di fondo è: meno cose ti porti e più facile è traslocare a giugno. Il mio modo di sentire lo spazio è più legato a una sensazione, al fatto che mi sento più stabile io. Quando stavo dalla nonna mi sentivo sempre in movimento, forse perché ero sballottolata tra diecimila posti diversi. Invece adesso in questa casa è come se mi sentissi più stabile ed è un paradosso, perché ti ripeto, comunque per tre mesi devo spostarmi per poi rispostarmi di nuovo. Mi sento legata più a una sensazione che agli oggetti. Poi guarda, può essere pure che a livello inconscio sia legato ad altri fatti, come ad esempio alle decorazioni che mia mamma mette.» (Martina, 24 anni)

«Mi ricordo che la prima cosa che ho fatto non appena ho messo piede in casa è stata sistemare su uno scaffale della libreria che ho in camera tante “cianfrusaglie”, come direbbe mio padre. La prima cosa che ho messo è stata la collezione di pietre, quasi tutta di mia sorella e in parte anche mia. Volevo sentirmi protetta e volevo dare gioia e forza anche a mia sorella, con la quale condividevo e condivido tuttora anche la nuova camera.» (Elena, 25 anni)

(Mariagrazia, 51 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Marika, 21 anni)

6. Quali sono i punti cardinali di casa tua?

«La cucina. Sto più con mia mamma così.» (Giuliana, 30 anni)

«La mia stanza e la cucina perché sono le due i due spazi che pratico di più.» (Lucia, 26 anni)

«Sceglierei sempre l’esterno perché all’interno un posto vale l'altro. Se dovessi scegliere per forza l'interno sceglierei la cucina, perché è più importante delle altre stanze, non solo perché si cucina ma perché ci si sta meglio.» (Stefania, 43 anni)

«Io direi la cucina e il salone. Nella cucina ci sto con la mia famiglia, quando devo mangiare, e poi nel salone per studiare. Nella stanza in questa casa nuova non ho uno spazio mio o una scrivania: la condivido con mio fratello, esattamente come nella casa vecchia. Essendo piccola non c'è scrivania, quindi io per studiare mi sposto nel salone che automaticamente diventa uno spazio mio.» (Martina, 24 anni)

«I punti cardiali di casa mia sono la cucina e la mia stanza, per lo più. La cucina è luogo che amo, specialmente quando pranzo con mio padre con il quale parlo davvero tanto o con il resto della famiglia. La camera invece perché è un luogo che vivo molto. Vorrei anche che il terrazzo fosse un mio punto cardinale, ma non credo che lo sia in realtà.» (Elena, 25 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Marika, 21 anni)
(Giovan Giuseppe, 61 anni)

(Antonio, 68 anni)


7. Se dovessi scegliere un angolo, inteso come punto in cui due muri si incontrano, quale sceglieresti? Perché?

«L'angolo del soggiorno. Lo guardo spesso perché c'è la la parete che è tra tra il blu e il bianco e c'è questo sovrapporsi di colori che che mi piace molto. Spesso quando mi soffermo a pensare mi trovo spesso a guardare in quel punto.» (Danila, 35 anni)

«Quello vicino al caminetto, nel salotto: è accogliente e fa a casa.» (Giuliana, 30 anni)

«In generale mi piacciono gli angoli del soggiorno per come sono arredati. Quindi sceglierei l'angolo tra il balcone e la finestra, dove c’è una pianta.
» (Stefania, 43 anni)

«Forse dove sono seduta con il computer, è un posto che vivo di più.» (Martina, 24 anni) 

«Un angolo tra il corridoio e la cucina. Quando ero in quarantena e ho cominciato a vedere la casa ho fotografato quell’angolo. Non ho mai visto così tanta bellezza in un angolo e la luce che batteva all’ora della foto era gentile e delicata. Come una carezza.» (Elena, 25 anni)

(Mariagrazia, 51 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Giovan Giuseppe, 61 anni)

8. Ti sei creata/o delle nuove abitudini/rituali da quando sei nella tua nuova casa o hai trasportato quelle vecchie nel nuovo spazio?

«Direi entrambe le cose. È più tutto nuovo perché io prima vivevo con i miei e adesso vivo con il mio compagno: già questo per me è un cambiamento quindi mentre a casa magari facevamo le cose tutti insieme in un determinato modo, adesso mi sono creata la mia dimensione con il mio compagno. Alcune cose comunque ti rendi conto che le fai allo stesso modo di come le facevi: io il sabato magari non lavoro come pure prima [del terremoto]. Magari prima stavo tantissimo tempo a letto perché il sabato mi rilassavo, non andando al lavoro. Questo per esempio lo faccio anche qui a casa, cosa che non facevo nella casa precedente, quella post terremoto. In questa invece mi rilasso, faccio le mie cose come le facevo a casa, identiche.» (Danila, 35 anni)

«I miei figli sono studenti e quindi vivono la casa molto meno di quanto la possa vivere io e la vivono diversamente. Io vivevo molto lo spazio esterno perché c'era il giardino e mi dilettavo a fare la pulizia del giardino o la tenuta delle piante. Mi divertivo in questo e mi manca tanto perché era il mio tempo libero. Anche adesso lo faccio perché usufruisco del terreno dove stavo, però stando relativamente lontano non ci vado più tanto spesso. C'è un'ordinanza di sgombero e non ci si potrebbe andare nemmeno nel terreno, però uno ci va lo stesso. Purtroppo sei costretto a non poterlo tenere come prima e sei obbligato a doverti adeguati. Non è la stessa cosa, quindi alla fine è chiaro che modifichi delle abitudini, sei obbligato a modificarle e ad adattarti. Io penso che l’essere umano è un animale che si adatta a ogni tipo di situazione. Io sono un ex marittimo quindi mi sono sempre adattato, sono andato in giro per il mondo e forse c'era già una predisposizione nel farlo. Adesso ho due terrazzini piccolini, molto piccoli, dove con il bel tempo provvederò a sistemare il tavolo in ferro battuto. Cerco di inventarmi le cose e poi comunque ci sono un sacco di cose che la vita ti conserva: mi dedico molto ai anche problemi della famiglia. Se prima lo spazio che avevo da dedicare a me stesso era mezz'ora o un'ora, adesso magari è molto meno, però comunque cerco di trovarlo. Mi faccio pesare molto poco questa cosa e cerco di adattarmi, non ho modificato granché. Prima mi dedicavo allo spazio esterno e al giardino che adesso purtroppo non posso più avere a disposizione per tante cose: avevo il cane che aveva spazio a disposizione e anche lui, poverino, si è dovuto adattare perché non ha più quello spazio che aveva prima. Ora sono costretto a doverlo portare a fare la passeggiata, mentre prima bastava lasciarlo libero perché avevo un bel po’ di spazio. Anche questo è uno svago, una scusa per trovare un attimo di tempo per se stessi, magari in compagnia del proprio cane.» (Marco, 55)

«Ho trasportato i vecchi [rituali] nel nuovo spazio, cioè il fatto di chiudermi in camera per stare da sola. Lo faccio ancora e la mia stanza è la più grande. Ho delle abitudini che fanno parte di me, quindi non dipendono dall'ambiente in cui vivo. Mi piace chiudermi in camera perché mi piace la mia privacy. A casa ora siamo più una comunità, prima ero più sulle mie e vivevo più in camera, adesso utilizzo di più gli spazi comuni. Prima mangiavo e mi chiudevo dentro la mia stanza, era difficile che mi mettevo sul divano a guardare la TV. Preferivo andare in camera, magari con il computer e se veniva una mia sorella in camera ci guardavamo una cosa insieme, però non utilizzavo tanto gli spazi comuni, mi piaceva più stare nella mia stanza a fare le mie cose. Invece adesso mi siedo sul divano, chiacchiero e utilizzo di più gli spazi comuni. Anche per lavorare utilizzo la cucina, prima non la utilizzavo mai, andavo sempre in camera mia. Questo è negativo perché a casa mia mi sentivo più a mio agio nella mia stanza, quindi facevo più cose, mi piaceva il silenzio che aveva la mia stanza e mi concentravo di più. Poi quando volevo fare pausa magari andavo degli spazi comuni. Invece adesso non mi trovo a mio agio nella mia stanza, anche se comunque ci sto parecchio. Andando in cucina c'è il viavai, la confusione. Lo vivo in modo più negativo, preferivo stare nella mia stanza: ci passo tanto tempo comunque quando sto in casa però non come prima. A lavorare non mi trovo a stare chiusa in camera e quindi vado in cucina.» (Giuliana, 30 anni)

«Ho trasportato quello che era vecchio. Logicamente con gli anni può cambiare qualche abitudine, ma vuoi o non vuoi sono sempre le stesse. Adesso lavorando di più vivo la casa in maniera diversa, però comunque la vivo. E la vivo come la vivevo lì a casa mia, a Casamicciola. Per rendere mia la casa ci sto mettendo le cose e le sensazioni del passato, e in più ci sto aggiungendo tutti questi anni che non sono stata a casa mia ma che riporterò anche quando tornerò a casa mia.» (Lucia, 26 anni) 

«Qualcosa ho cercato di trasportarlo. Però nuovo ambiente, nuove posizioni, nuove situazioni: si devono per forza creare nuove abitudini. Diciamo che ho cercato il trasformare le vecchie abitudini in base alla casa, quindi ho creato nuove abitudini di conseguenza. Dove tenere le cose, come conservare le cose. Ho dovuto per forza modificare le cose in base agli spazi della nuova casa, però il principio è quello della vecchia abitudine. [...] essendoci meno spazio uno cerca di mantenere un certo ordine e se non ci sono posti per conservare le cose uno cerca di creare nuovi spazi per conservarli, anche se è stato difficile. Come cose non pratiche [è cambiato] il modo di stare in casa: quando uno non ha niente da fare non essendoci una stanza comoda, uno non sa dove mettersi. D’estate me ne vado sul terrazzo se voglio perdere tempo. Invece di stare sul divano in soggiorno, me ne vado sul terrazzo.» (Stefania, 43 anni)

«Nella mia casa vecchia io non avevo il termosifone, avevamo la stufa e per me è sempre stata un po’ostica, quindi lo accendevano sempre i miei genitori. Invece adesso vado io ad accendere i termosifoni perché qui li abbiamo.» (Martina, 24 anni)

«Ci sono delle cose che sono sicuramente cambiate, anche le più banali. Nella mia vita i rituali sono molto importanti. Ad esempio ho sempre avuto un modo preciso di mangiare i melograni. Nella nuova casa lo faccio lo stesso, ma con qualche cambiamento: non lo mangio più sul divano ma a tavola. Ora ogni sera vado a portare il cane a passeggio, cosa che non succedeva nella vecchia casa perché avevamo un grande cortile. Credo che comunque le abitudini che ho siano una sorta di compromesso tra il nuovo e il vecchio.» (Elena, 25 anni)

(Mariagrazia, 51 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Marika, 21 anni)
(Giovan Giuseppe, 61 anni)

(Antonio, 68 anni)

(Annalisa, 43 anni)


9. Se potessi sintetizzare con un qualsiasi suono, verso o melodia il tuo modo di abitare, quale sarebbe? Sapresti anche darmi una spiegazione?

«Da quando sono venuta in questa casa c'è il silenzio intorno a me e sento sempre degli uccellini che cinguettano. Mi dà una pace e una serenità questo suono. Li senti tutte le mattine e anche il pomeriggio dopo pranzo quando ti rilassi sul divano. Io ho quest'immagine, loro mi trasmettono questo senso di tranquillità e serenità. Noi qui non abbiamo persone che ci abitano proprio accanto. A casa avevo i parenti intorno, quindi affacciandoti alla finestra c'era la zia, il cugino, facevi la battuta: era proprio tutta un’altra cosa. Questo mi manca perché è proprio la mia infanzia. È come se quella parte se ne fosse andata, all'improvviso è sparito tutto, tutto d'un tratto. Per fortuna qui sento questo cinguettare degli uccellini che mi mette pace e serenità.» (Danila, 35 anni)

«Uno stridulo o un fischio, come quello che fa il treno. Penso che sia una sorta di fastidio. Se ci penso, non vorrei essere qui, vorrei essere da un'altra parte per cui forse è per quello che ho pensato ad un suono stridulo.» (Giuliana, 30 anni)

«Le campane della Chiesa di Santa Maria Maddalena che prima io avevo perennemente nelle orecchie, anche se non le sentivo. Le avevo affianco, suonavano in continuazione, ma io non le sentivo proprio.» (Lucia, 26 anni) 

«Forse una canzone un po’ malinconica… ma no, non è il termine giusto, non lo so.» (Stefania, 43 anni)

«Credo che si sia capito che vivo la casa in modo abbastanza noioso. Direi qualcosa di tranquillo: forse il rumore del mare perché è un suono piacevole  rilassante. A me a casa piace rilassarmi.» (Martina, 24 anni)

«Credo che sarebbe simile al rumore di passi che ti seguono. Non so bene il perché, mi è venuto in mente. Forse è la condizione con la quale la vivo, ovvero a piccole dosi, a piccoli passi silenziosi. Forse però è anche una condizione di disagio che provo. Quando sono giù di morale anche l’ambiente circostante mi sembra ostile e forse è questo che intendo con il rumore dei passi che seguono. È allo stesso momento una cosa delicata e violenta, probabilmente è una dualità che percepisco nel mio modo di vivere.» (Elena, 25 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Marika, 21 anni)

(Giovan Giuseppe, 61 anni)

(Antonio, 68 anni)


10. Cosa dimentichi, ignori o dai per scontato più spesso nello spazio in cui abiti?

«A volte ho un po’ di caos in mente, tipo quando metto a posto la spesa. Mentre a casa mia prima sapevo perfettamente dove stava tutto ora ci sono delle volte che magari ho dei déjà-vu, è come se mi ricollegassi a casa mia. Penso che una cosa magari sta in un posto però non c'è in quel posto, perché l'ho messa in un altro. Ti rendi conto che pensi che sia tutto a posto, invece escono delle cose che ti fanno capire che forse non l'hai dimenticato [il sisma]. Non è che lo dimentichi, però ti dici: “Magari non l'ho elaborato poi così bene come penso.”» (Danila, 35)

«Do per scontato che ci sia una casa, ma non è scontato che ci sia. Comunque è accogliente e ci sono le persone che ci devono essere. Non è scontato avere due genitori con cui condividere le cose, non è da tutti. Magari non tutti hanno trovato una casa dopo il terremoto, magari c'è la gente che è stata in un albergo: avere una casa non è una cosa scontata. Avere un tetto sulla testa: questo lo do per scontato però in realtà sono stata molto fortunata.» (Giuliana, 30 anni)

«Da quado sono qui ho riflettuto un sacco sugli spazi che avevo nella casa vecchia, quella terremotata. Molto spesso li ho sottovalutati e non li ho usati realmente. Nella casa nuova utilizzo quasi tutto, perché è anche più piccola e quindi pratico tutti gli spazi che ci sono. Il terremoto ha portato un cambiamento in me, poi ho vissuto anche la situazione Covid quindi non è stato facile. Tutte queste situazioni mi hanno portato a riflettere ancora su quanto sono fortunata.» (Lucia, 26 anni) 

«Sotto l’aspetto di ignorare delle cose no. No, perché io sono un’osservatrice, quindi anche se entro in uno spazio per 5 minuti so cosa c'è in quello spazio. Non ci sono cose che non ho visto.» (Stefania, 43 anni)

«Gli interruttori della luce e le macchioline sul pavimento che è scrostato. Uso tutto il tempo e tutti i giorni gli interruttori, ma solo se non ci fossero me ne accorgerei, nonostante il grande lavoro che fanno per me. Le scrostature del pavimento le dimentico ogni volta e puntualmente, quando lavo a terra, mi chiedo se siano sempre le stesse o se se ne siano aggiunte di nuove.» (Elena, 25 anni)

(Mariagrazia, 51 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Marika, 21 anni)

11. Riesci a camminare al buio nella tua nuova casa?

«Non l'ho mai fatto però penso di si, penso che riuscire ad orientarmi. Quando c'è stato il terremoto io ho dovuto attraversare tutta la casa al buio però non ho avuto problemi, ho dovuto fare anche tutte le scale.» (Danila, 35)

«Non mi fa niente stare al buio però preferisco avere la luce accesa. Se ne va la corrente mi viene sempre la paura, perché lo riconduco proprio al terremoto. Perché quando è successo è proprio capitato quello, prima se n’è andata la corrente e dopo ci sono state le scosse.» (Lucia, 26 anni)

«Si, senza problemi. A volte se sto mezza dormendo, metto le mani davanti perché ho paura che mia mamma abbia messo lo stendino da qualche parte nel corridoio restringendo la carreggiata e magari vado a sbattere e sveglio tutti.» (Martina, 24 anni)

«Sì, ma non lo faccio praticamente mai. Anche se non voglio accendere le luci della stanza utilizzo la torcia del cellulare. La luce mi serve per due ragioni: sono molto disattenta a volte quando mi muovo, quindi ho bisogno della luce per non sbattere, poi sono davvero fifona, da sempre. Una cosa che mi rende serena è che mentre nella vecchia casa ho sempre avuto paura di rimanere da sola e al buio, in questa ho un po’meno timori. Non sono sicura del perché, forse riguarda le proiezioni che vi ho inserito dentro e il fatto che sia cresciuta, con le mie paure per il paranormale, in quella casa. Forse ora sono più grande e le sto un po’ abbandonando, anche se a volte tornano a trovarmi.» (Elena, 25 anni)

(Maria Teresa, 22 anni)

(Marika, 21 anni)


12. Scegli una superficie e toccala. Che rumori senti?

«Diciamo che è ruvido, non è un muro liscio. Sento quel rumore del mare quando ti metti la conchiglia all'orecchio.» (Danila, 35)

(Mariagrazia, 51 anni)


13. Cos’hai scoperto della tua casa da quando la abiti? Hai trovato delle storie che non ti appartenevano, di qualcun altro?

«Sì, per esempio ci sono delle pareti che sono colorate: alcune tutte blu e alcune gialle. Quando le vedo penso che io in casa mia non le avrei mai fatte, però sono belle da vedere. In camera da letto c'è una parete sul verdino chiaro e ha un alone da un lato in alto. Ogni volta dico al mio compagno: "Ma che ci sarà mai stato lì dietro? Perché ci sta questo alone?" Magari c'era qualche cosa che hanno dovuto coprire o c’era qualche quadro. Sì, questo me lo me lo chiedo anche io ma sono piccolezze.» (Danila, 35)

«Nella casa dove siamo stati prima di venire qui dicevano che ci abitavano i munacielli e ho scoperto questa cosa ma di questa casa qui no, niente di particolare. Mio padre sostiene che si sono trasferiti anche qui i munacielli, sono storie per ridere.» (Giuliana, 30 anni)

«Sì, ci ho pensato soprattutto all'inizio, quando ci sono entrata. Però poi l'ho fatta mia, mettendo le mie cose e creandomi le mie abitudini e quindi non ho più pensato che lì potesse esserci stato qualcun altro, oppure se era stata utilizzata per un altro uso. Questa cosa è stata marginale. La cosa fondamentale è stato il distacco dalla mia casa.» (Lucia, 26 anni)

«Osservando delle pareti nel soggiorno mi sono resa conto di alcuni cambi di tonalità nella pittura dei muri. Erano tutti in corrispondenza di chiodi vuoti. Osservando bene apparivano delle forme: rettangoli, quadrati e ovali più chiari e “puliti” sotto al chiodo. In quel momento ho realizzato che prima, chissà quanto tempo prima, per molto tempo lì c’erano stati dei quadretti. Mi sono chiesta di chi fossero e cosa ci fosse raffigurato, visto che si erano portati via quelli e ne avevano lasciati molti altri. In quel momento ho sentito una forte emozione dentro, come se fossi partecipe dello svelamento di un mistero preistorico o di qualcosa che ora solo la storia sa. Mi sono sentita presente nella vita di qualcuno che non conosco.» (Elena, 25 anni)

(Mariagrazia, 51 anni)


14. Posso inviarti una foto su Whatsapp? L’ho scattata un anno dopo il terremoto al Maio, nel negozio di ceramiche Kèramos dove andavo spesso da bambina. Per me questa foto rappresenta il terremoto, nelle sue parti negative e in quelle positive.* C’è un punto della tua casa, vecchia o nuova, che ti ricorda più volte l’esperienza del terremoto? Se ti va potresti scattare e inviarmi una foto di questa stanza?
*La fotografia mostrata è diventata lo sfondo sul quale si intersecano e si combinano le foto inviate dai partecipanti.

«In questa casa dove sto ora io non ci penso al terremoto, forse perché l'ho trovata talmente lontana dal posto in cui c'è stato il terremoto che non ci penso. Però per esempio, quando vado a casa mia me lo ricordo. Quando passo nel corridoio di casa mi viene proprio in mente il momento in cui c'è stato il terremoto. Quando ci entro mi mette un po’ di ansia, non riesco a essere serena.» (Danila, 35) 

«Guardando questa foto io vedo solo la parte delle crepe nei muri, vedo queste ceramiche raccolte e messe sul davanzale: praticamente sono l'emblema di tutto ciò che si è rotto. Guardare casa mia internamente è praticamente uguale perché ci sono tutte le mattonelle che sono cadute, le mura spaccate e quindi questa foto è qualcosa di molto familiare. Attualmente dove vivo ho anche una bella veduta, che forse non avevo prima: guardo il mare, vedo la speranza. Io cerco di essere sempre positivo e spero sempre che si risolva nel più breve tempo possibile e che si possa finalmente iniziare a vedere risorgere la casa dove abitavo. Se dovessi scegliere una mia foto sicuramente sceglierei quella della mia casa perché comunque è qualcosa di mio, qualcosa che sento dentro: è un'esperienza che ho vissuto e che purtroppo mi angoscia, mi porta tristezza. Pur vedendo questo barlume di luce e di speranza, che mi porta a pensare che di qui a breve possano iniziare questi benedetti lavori… comunque non puoi mai abbandonare ciò che è tuo e che senti tuo, in cui ci hai messo tutta la vita. Questo anche nel rispetto di quelli che sono stati i sacrifici fatti dai miei genitori. È un bene che non si può cancellare però è sempre qualcosa che ti tocca il cuore.» (Marco, 55)

Foto di Marco
Marco mette a fuoco una visione della sua vecchia casa. Il fulcro del suo scatto è il puntino di luce nella crepa: è la luce della stanza oltre il muro.

“È stata l’unica volta in cui vedere la luce mi ha provocato sconforto.”

«Sì, quando salgo le scale, perché comunque sono la parte più rovinata e anche perché [quando c'è stato il terremoto] abbiamo fatto le scale per uscire, al buio, per cui magari è per questo che è la parte che me lo rievoca di più. Poi comunque se apro la porta non c’è più il lampadario. L'impatto è quello, quando entro me lo ricorda. Non mi fa piacere andarci [nella casa terremotata], vado ad accompagnare qualcuno se magari gli serve qualcosa. Non ci vado con piacere.» (Giuliana, 30 anni)

«Uno spazio o una stanza no. Però, per esempio c'è un alimento in particolare che stavo per mangiare di quando è successo tutto e quando lo mangio lo riconduco a quel momento. Sono i peperoncini, quelli verdi e piccoli. Io li mangio spesso perché mi piacciono, però ancora adesso dico a tavola: “Mamma mia, questi peperoncini non ci portarono fortuna quella stasera.» (Lucia, 26 anni)


«Non è che mi devo ricordare di essere terremotata. La nuova [casa] non è casa mia, quindi me lo ricordo in questo senso. Tutta la casa mi ricorda che sono terremotata. Ti faccio una foto alla muffa.» (Stefania, 43 anni)

Foto di Stefania

«No, una stanza in senso stretto non direi perché comunque questa casa è strutturata diversamente rispetto a come era quella vecchia. Quello che in realtà mi ricorda il terremoto di solito sono i rumori. Quando c'è stato il terremoto io ero in camera mia e mia mamma, mio padre e mio fratello erano in sala da pranzo. Mamma era telefono con mia nonna, quando c'è stata la scossa, e lei ha sentito tutto il delirio per telefono. Poi siamo scappati giù. Camera mia è l’unica stanza che non ha nemmeno una lesione, mi sento proprio miracolata. L'unica cosa è che gli armadi si sono spostati: sono enormi e pesanti. Ce ne siamo accorti perché da sotto la scrivania si vedeva una striscia di polvere di un centimetro. È l’unica cosa che in camera mia fa capire che ci sia stato un terremoto, non è caduto niente di niente.» (Martina, 24 anni)

«Credo che ci siano due punti della mia nuova casa che mi ricordano il terremoto. Uno è negativo ed è la colonna che regge l’architrave sopra il cancello di casa. È completamente crepata, crepe profonde che mi fanno pensare che prima o poi esploderà e cederà, uccidendo me o qualcuno nella mia famiglia. L’altro punto è positivo ed è sempre una crepa nel muro del terrazzo. Quasi sempre su questa crepa ci si mettono delle lumachine col guscio. Loro abitano la crepa o la riparano con la loro presenza e tutto questo mi fa sorridere.» (Elena, 25 anni)

Foto di Elena

«Un oggetto della casa dove siamo adesso che mi ricorda il terremoto è l’orologio che abbiamo in cucina. Era un oggetto che avevamo nella vecchia casa e quindi è legato allo stare nella casa. L’orologio scandisce il tempo e mi dice che il tempo passa inesorabilmente, non ne vuole sapere nulla e va avanti. Questo ci ricorda anche che sono passati un bel pezzo di anni ormai da quando c’è stato il sisma, non è piacevole.» (Giovan Giuseppe, 61 anni)

Foto di Giovan Giuseppe

(Nello, 51 anni)

Foto di Nello
La foto rappresenta il vecchio angolo creativo di Nello: uno spazio fatto di ricordi, di emozioni e di nostalgia.

(Antonio, 68 anni)

Le interviste complete

Di seguito si potrà accedere alle interviste complete dei singoli partecipanti, introdotti da una breve descrizione.
L'ordine delle domande può cambiare in ogni intervista e non tutti hanno risposto allo stesso numero di domande. Ogni intervista e risposta è peculiare e personale e, alla fine della parte delle domande, ci sono dei "fuori programma": momenti di libero sfogo e di racconti in cui ognuno ha voluto aggiungere qualcosa o soffermarsi su particolari attimi e sensazioni che ha provato.